12 Mag Noi Rifugiati
Hannah Arendt, Traduzione, illustrazione e cura di Donatella Di Cesare
Politica e filosofia, Einaudi Torino, 2022 (originale gennaio 1943), Pag. 100 euro 12
Fuori. Da molto, per tanti. Fra loro si chiamavano “nuovi arrivati” o “immigrati”, avrebbero voluto non essere definiti “rifugiati”. Rifugiato poteva essere considerato solo chi era costretto a chiedere asilo o per le azioni compiute o per le proprie opinioni politiche, invece loro non avevano commesso alcun atto reprensibile e la maggior parte non si sognava neppure di avere opinioni radicali. Così, negli anni Quaranta del secolo scorso il termine “rifugiato” si ampliò di significato, riferito a quelli tanto sfortunati da arrivare in un altro Paese privi di mezzi, semplici immigranti di fatto che avevano perso tutto (dimora, lavoro, lingua, parenti), “una nuova specie di umani” ovvero quelli che vengono messi nei campi di concentramento dai loro nemici e nei campi di internamento dai loro amici, chiusi fuori dove abitavano, messi dentro (fuori dal resto) dove sono in qualche modo arrivati, da tutti comunque considerati estranei, scarti, tecnicamente apolidi per quanto sia umanamente inconcepibile sulla Terra. E con una inevitabile pericolosa disposizione alla morte, inclini al suicidio. Hannah Arendt restò apolide per diciotto anni, dopo che lo Stato nazionalsocialista le aveva tolto la cittadinanza e prima di ottenere la cittadinanza americana l’11 dicembre 1951; era fra i primi ebrei non religiosi a essere perseguitati; se qualcuno li salvò non potevano che sentirsi umiliati, se qualcuno li aiutava si sentivano degradati; fuori dalla Germania, dopo essere stati imprigionati perché erano tedeschi, non furono liberati perché erano ebrei. L’essere umano è un animale sociale e la vita non è facile quando vengono recisi i legami sociali: ben pochi individui hanno la forza di conservare la propria integrità, se il loro status sociale, politico e giuridico è del tutto indefinito. L’assimilazione stride e va comunque male: si diventa paria sociali o, all’opposto, si diventa parvenu.
Splendida operazione editoriale promossa e presieduta dalla insigne brava filosofa Donatella Di Cesare (Roma, 1956) per celebrare la straordinaria personalità di Hannah Arendt (1906 – 1975). Il breve testo We Refugees fu pubblicato per la prima volta nella rivista “The Menorah Journal”, numero del gennaio 1943 (pagine 69-77), Arendt lo scrisse in inglese (contiene espressioni in tedesco e francese), probabilmente di getto, passando dal “noi” all’io narrante, ed è stato poco o nulla valutato per decenni. Era fuggita dalla Germania nazista nel 1933 ed era perigliosamente giunta infine a New York nel maggio 1941, ottenendo la cittadinanza americana solo nel 1951, 18 anni di apolidia, dopo essere stata tedesca e continuando a essere da tutti considerata solo ebrea. Di Cesare ha curato la traduzione e le poche chiare relative note esplicative (a fondo pagina), l’efficace complete postilla biografica finale e, nella parte centrale dell’agile volumetto, un lungo intenso colto saggio di commento, Hannah Arendt e i diritti dei rifugiati, ovviamente la parte più corposa e attuale dell’intera pubblicazione. La filosofa italiana è una profonda conoscitrice della “filosofa più significativa del XX secolo” e ne ripercorre il filo del ragionamento autobiografico, riprendendo Kant, aggiornando concezioni e dati, illustrando la vita relazionale e intellettuale dell’autrice (prima della fuga, durante l’angosciante apolidia, nell’autorevole carriera universitaria), valutando il contributo filosofico di Arendt per l’insieme delle opere, giustamente convinta che il testo del 1943 mostri un’acuta capacità descrittiva dei fenomeni storici e contenga spunti di prospettiva di sapiente attualità. “Gli avvenimenti degli ultimi decenni avvalorano la profezia di Hannah Arendt: il numero dei rifugiati nel mondo è andato aumentando in maniera esponenziale. Se si aggiungono gli apolidi, i richiedenti asilo, gli sfollati interni, i migranti, il numero sale vertiginosamente… Il popolo dei rifugiati si muove mettendo inevitabilmente in questione le frontiere dell’ordine mondiale”. Da approfondire e meditare, sia Arendt che Di Cesare. Certo siamo nel campo decisivo della filosofia politica con minore attenzione all’indispensabile filosofia della scienza, qualche osservazione sull’evoluzione e sul migrare appare superficiale, senza inficiare la complessiva articolata disamina di questione cruciali.