Una nuova Resistenza, ora e sempre

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È stata una generazione di ragazze e di ragazzi a sollevarsi e a ribellarsi, negli anni fra il 1943 e il 1945, fino al 25 aprile di ottanta anni fa. Molti di loro, negli anni della folle guerra a cui il fascismo italiano aveva partecipato al fianco dei nazisti – preceduta dai crimini compiuti nelle colonie africane – venivano dalle organizzazioni del regime. Incontravano militanti e dirigenti comunisti, socialisti, cristiani, azionisti in clandestinità. Sentivano l’obbligo morale di prendere in mano la propria vita, e di fare della libertà propria e di quella di tutti una ragione di impegno, a costo della propria vita, o del carcere e delle torture. È di questo straordinario movimento che dobbiamo parlare, per comprenderne la lezione attuale, fuori da ogni retorica. Se si prendono in mano le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, pubblicate nel 1952 da Einaudia cura di Giovanni Pirelli – anche lui partigiano -, straordinario caleidoscopio di sentimenti e di vite, si può capire il senso di quanto scrivo. Una generazione scese in campo, e sentì il 25 aprile del 1945 come una meravigliosa giornata, in cui la libertà conquistata per sé era la libertà conquistata per gli altri. I dirigenti e gli intellettuali che accompagnarono quella generazione – molti dei quali diventati poi padri e madri costituenti – furono i maestri di quella straordinaria scuola di resistenza

Il revisionismo storico, iniziato a metà degli anni novanta del secolo scorso, teso a negare questo carattere della Resistenza e il fondamento morale impresso nella Costituzione italiana, è all’origine del grande arretramento avvenuto nell’ultimo trentennio nella società italiana. Abbiamo assistito passivamente allo sdoganamento del fascismo e alla negazione del tradimento della patria operato, col regime e con la guerra, da Benito Mussolini e dai suoi seguaci. Nelle curve degli stadi, nei quartieri popolari e disagiati, nelle scuole, in tanti gangli vitali della società  sempre più spudoratamente gruppi fascisti e nostalgici hanno preso forza e costruito consenso, in una parte di mondo giovanile, facendo dell’odio verso i migranti, di un’ideologia machista e patriarcale, dell’omofobia in tutte le sue forme, dell’antisemitismo, di un culto della violenza fisica e digitale la propria ragion d’essere. Tutto ciò è avvenuto con un partito di maggioranza relativa, che ha la responsabilità della guida del Governo, che nel suo simbolo porta ancora la fiamma tricolore, pensata dai reduci della Repubblica di Salò, spesso identificata come quella che arde sulla tomba di Mussolini.

C’è stata una grande responsabilità degli eredi dell’antifascismo, in questa regressione. Si è inneggiato al nuovo, dimenticando la storia della Repubblica, e ci si è allontanati dal popolo, con un’idea di politica tutta chiusa nelle istituzioni. Soprattutto – come ci ha insegnato il partigiano Aldo Tortorella, scomparso qualche settimana fa – si è concesso che la parola libertà venisse assunta come fondamento della destra del liberismo e di un mercato senza regole. Oggi la riscossa antifascista – a cui hanno dato un contributo importante intellettuali coraggiosi, come Antonio Scurati, col suoi romanzi, in quattro volumi, M, o come una giovane studiosa, Michela Ponzani, il cui ultimo saggio, Donne che resistono, è dedicato alla storia delle donne della Resistenza – non può non passare dalla capacità di riappropriarsi dell’idea di libertà, fondata sulla convinzione che la libertà degli altri è la condizione della tua libertà. Libertà e eguaglianza, quindi, insieme, libertà solidale: fraternità, amore per il prossimo, condivisione. 

C’è una generazione di ragazze e ragazzi, nelle scuole e nelle università, che è in cerca di maestri che la aiutino a far vivere questo sentimento dell’altra e dell’altro, che sia a Gaza, nel rave al kibbutz di Reim, in Ucraina, tra gli oppositori russi, per i civili sudanesi, e per i migranti, come ci ha insegnato il nostro compianto Ali baba Faye e quel grandissimo uomo che piangiamo in questi giorni che è stato Papa Francesco.

Malacoda vuol far vivere queste idee. Non in un partito, ma in un sentimento comune e largo, in una scuola di resistenza. La poesia, l’arte, la letteratura, il cinema e tante altre espressioni creative sono scuole di resistenza. Theodor Adorno si interrogava se la poesia fosse possibile dopo Auschwitz. La stessa domanda si ripropone oggi, a fronte dei problemi dell’umanità – quelli grandi e quelli vicini a noi – e al bisogno di non chiudere gli occhi, di prendere coraggio, come le ragazze e i ragazzi del ‘43, del ‘44, del ‘45. Non basta la resilienza, parola magica negli anni della pandemia. Si tratta di una giusta attitudine individuale. Quando diventa collettiva, per combattere le oligarchie – come ci ripetono con coraggio in questi giorni Bernie Sanders e Alexandria Ocasio Cortez dagli Stati Uniti – diventa semplicemente resistenza. Nuova resistenza. Ora e sempre.


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