Cattiveria in politica o cattiva politica?

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Lo diceva la “volpe”, Giulio Andreotti, che il potere logora chi non ce l’ha ma oggi, a distanza di anni da vicende come mani pulite e tangentopoli abbiamo imparato che il Potere logora anche chi ce l’ha e non lo sa gestire. Quel lungo frangente di arresti, avvisi di garanzia, confessioni, scandali, suicidi e processi ha causato al nostro Paese un profondo smarrimento, una forte indignazione che non ha però permesso una completa rigenerazione etica e morale della Politica e del sistema che la regge.  «Scusate per il disastro seguito a Mani Pulite. Non valeva la pena buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale», disse Francesco Saverio Borrelli, ex capo del pool Mani Pulite. Ma perché la narrazione che accompagna i politici della cosiddetta Prima Repubblica, dal dopoguerra ai primi anni ‘90, nonostante sia intrisa di intrighi e segreti di stato, resta una narrazione pressoché positiva? Ancora oggi la polarizzazione delle opinioni su nomi quali Craxi o Andreotti, resta evidente: non c’è unanimità sulla condanna o sull’assoluzione. Forse perché nonostante tutto si trattava di leader, e non follower delle opinioni. Esisteva ed era visibile, inoltre, l’apparato politico che funzionava formando e guidando le persone nella costruzione di un’opinione; era un apparato intento a proteggere la sfera pubblica necessaria perché l’idea venisse accolta, dibattuta, trasformata con la libera circolazione delle idee. Per non parlare di Enrico Berlinguer, diventato negli ultimi anni un’icona di una politica buona e diversa.

Lo spiega bene anche Luciano Violante nel suo Insegna Creonte (Edizioni Il Mulino) perché la narrazione sulla Prima Repubblica resta e resterà tendenzialmente positiva: «Quel ceto non era certamente privo di difetti e quella fase storica, contrariamente ad alcune narrazioni edulcorate, non è stata idilliaca. Sette stragi terroristiche, due stragi di mafia, tre tentativi di colpo di Stato, il crollo nei primissimi anni Novanta dei tradizionali partiti di governo, hanno condizionato gravemente la vita del Paese. Tuttavia quel ceto aveva l’umiltà (o l’opportunità, ndr) di orientare la propria azione verso la risposta ad alcune domande chiave: qual è stato e qual è attualmente il ruolo del mio partito nella storia del mio paese, cosa posso fare per migliorare concretamente la vita delle persone, come riuscire ad assicurare un rapporto positivo tra la mia generazione e quella che verrà. Questo atteggiamento lo rendeva capace di guardare oltre la contingenza, di disporre permanentemente sulla soglia tra l’oggi e il domani».

Cos’è, dunque, che ha logorato la reputazione della Politica provocando una progressiva disaffezione da parte delle persone?

La Cattiveria in Politica? O la cattiva politica?

Non credo si possa parlare di cattiveria; non credo perché magari potessimo appellarci alla Cattiveria! Molto spesso utilizziamo parole “abusate, pompate, svendute, svalutate” (Edoardo Albinati, Velo Pietoso – ed. Rizzoli) solo perché non sappiamo osservare la realtà con lo sguardo di chi sa vederla per come è e non per come appare o dovrebbe essere. 

Non c’è cattiveria in politica oggi; c’è mediocrità, quella ignominiosa mediocrità che ha lasciato progredire lo stato di natura. La irrisolta questione morale, dagli anni ‘80 in poi, è ancora oggi il centro del problema italiano. In assenza di Aidos le pulsioni più primitive e autoconservative emergono generando una squadra di leader che governano le emozioni; non guidano, non tracciano una direzione, non condividono un’idea di benessere per tutte, per tutti.

Ma c’è anche un problema di narrazione: alcune non funzionano più da tempo. Quella, ad esempio, sui valori persi non fa più effetto, soprattutto sulle nuove generazioni che (dati alla mano) fanno fatica a focalizzare i propri e a capire i loro bisogni. Non sortisce reazioni di alcun tipo oramai neanche la cantilena sulla corruzione. Sembra quasi libera di circolare tra le “genti nude e spaventate” l’assuefazione a ciò che resta illecito e disturbante in un clima entropico. C’è un problema di credibilità, di autorità, di autorevolezza e competenza.

È un problema giornalistico? Probabilmente è anche un problema giornalistico perché il cattivo è rock, il buono è lento.E perché la noia della bontà non dipende dalla bontà stessa né dal mezzo con cui si esprime ma dalla narrazione che la circonda.

È vero anche che i continui riferimenti ad un passato sempre (per eccesso) migliore del presente, nel dibattito pubblico, rischia romanticamente di tenerci legati a qualcosa che è stato complessivamente riscritto attraverso nuovi racconti, testimonianze, carte e documenti di un’epoca politica che vediamo ormai lontana. 

Non aver avuto cura della formazione del cittadino è stato l’errore più grande. Perché adesso viviamo in una società dove le nuove generazioni vivono il grande disagio di non saper focalizzare i propri bisogni, che nel frattempo e gradualmente si sono spostati su un altro asse sociale e culturale. In una società che si infiamma e occupa al massimo qualche vicolo; che ha dimenticato le piazze; che si spegne al primo soffio; che non riesce a muovere l’intero stivale per le ingiustizie che non sa più riconoscere.

Non risiede nel Potere il male, ma nel disinteresse generalizzato. Nell’aver firmato deleghe in bianco ad una classe che non dirige ma che insegue. La Politica è potere e il Potere serve alla Politica per guidare la Società, non per accontentarla nelle piccole contingenze quotidiane.

Il secondo capitolo de “La democrazia dei Followers” di Alberto Mario Banti si apre così: «Quali risposte politiche sono state date ai processi di globalizzazione e all’aumento delle disuguaglianze causate dalle politiche neoliberiste?». Chi scrive ricorda la sua appassionata adesione ad Articolo Uno perché uno dei motivi della sua nascita e formazione era l’annunciata battaglia alle disuguaglianze sociali. La battaglietta è durata il tempo di qualche slogan, e qualche accordo.  Forse è un problema di gestione del Potere quando si tocca? Come ci si avvicina al Potere? Potrebbe andar bene la risposta cinica di Antistene per le faccende della Polis: «come ci si avvicina al fuoco; troppo lontani avreste freddo, troppo vicini vi brucereste».

Lontani i tempi in cui Aldo Moro andava a mare in giacca e cravatta perché “essendo un rappresentante del Popolo Italiano doveva essere sempre dignitoso e presentabile”. Forse eccessivo, ma siamo sicuri che il Papete, il Qatargate, il Karaoke a poche ore dalla strage di Cutro o la continua narrazione della vita privata dei nostri rappresentanti sia invece da preferire?

Si è spezzato qualcosa ma guardare sempre al passato per ricostruirlo probabilmente non è il modo giusto per ripartire. Lasciamo aperto il microfono alle nuove generazioni, facciamoci aiutare da chi ha la necessità impellente, fisiologica, innaturata e biologica di andare avanti. Mal che vada racconteremo di un glorioso passato fatto di tweet e tik tok dove la fantapolitica, tra innumerevoli meme e cuoricini, governava nel metaverso di una generazione di opinionisti.

Ma «se dobbiamo cogliere l’opinione pubblica, valutarne gli stimoli e accentuare la nostra capacità critica, non dobbiamo però seguirla passivamente, rinunciando alla nostra funzione di orientamento e guida», perché lo diceva Aldo Moro ma qui, ancora, siamo in tanti a credere in quella Politica capace di approdare in un mondo se non migliore almeno più giusto, per chiunque di noi, per chiunque arrivi a piedi o con una barca, con un sogno in mano e una speranza di futuro.


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