10 Apr Lavoratori immigrati invisibili, ma risorsa preziosa per l’Italia
Di lavoro degli immigrati in Italia si sente spesso parlare in termini di sfruttamento, in particolare nel settore agricolo, vittime del caporalato e di tragici fatti di cronaca, quasi mai per le battaglie contro i diritti negati e per storie di successo. Andrebbe invece evidenziata la necessità di stranieri per coprire la carenza di manodopera in diversi settori di attività e il loro contributo significativo alle casse dello Stato, dal valore netto di 6,5 miliardi. A indagare in questa prospettiva è il Dossier statistico immigrazione, giunto alla 33ma edizione, pubblicazione annua fonte di informazione di primaria importanza del Centro Studi e Ricerche IDOS, in collaborazione con la rivista Confronti e l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.
Facciamo un passo indietro in merito alla ‘risorsa umana’ rappresentata dai migranti e dai rifugiati. I cittadini immigrati residenti nel nostro Paese sono circa 5 milioni, l’8,6% degli abitanti. Nel contempo sono saliti a quasi 6 milioni gli italiani residenti all’estero (erano 4 milioni nel 2010). Dal 2020 al 2022, la popolazione italiana è diminuita di un milione di persone, mentre quella straniera è aumentata di 140 mila unità, contrastando il cosiddetto inverno demografico.
Segregazione occupazionale degli immigrati
Complessivamente gli stranieri incidono per il 10,3% sul totale degli occupati e per il 16,0% sui disoccupati. Il loro tasso di occupazione, dopo due anni in cui era risultato più basso, torna a superare lievemente quello degli italiani – 60,6% a fronte del 60,1% – ma non cambia la rigida divisione del lavoro per cittadinanza e genere.
Lo studio pubblicato da IDOS evidenzia che quasi due occupati stranieri su tre svolgono mansioni operaie o di bassa qualifica, una quota doppia rispetto agli italiani, anche se buona parte di loro ha qualifiche professionali e titoli di studi conseguiti nel paese di origine.
In effetti, anche quando è regolarmente impiegata, la manodopera straniera in Italia è spesso relegata a lavori precari, faticosi, sottopagati e rischiosi per la salute. Tre lavoratori stranieri ogni 4 in Italia sono impiegati in aziende medio-piccole, per lo più a conduzione familiare, o presso le famiglie, come collaboratori domestici e badanti.
Più di un terzo delle lavoratrici straniere (34,0%) sono impiegate nei servizi domestici o di cura alle famiglie (2,4% le italiane) e il 42,2% degli uomini è occupato nell’industria e nelle costruzioni (35,6% gli italiani).
Attività dalle quali derivano retribuzioni inferiori del 25% rispetto alla media. Questa compressione dei salari ha ridotto anche la loro capacità di risparmio, scesa dal 38% del reddito nel 2017 al 27% nel 2022. Questo rigido modello di “segregazione occupazionale” influisce – secondo IDOS – sulle condizioni di vita e di inserimento degli immigrati.
Sfruttamento e lavoro in nero
Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto sono 405 i comuni italiani in cui si riscontrano pratiche illegali nel lavoro agricolo: 129 al Nord, 82 al Centro, 123 al Sud e 71 nelle Isole. Rispetto al censimento del 2018, quando erano 205, sono raddoppiati, confermando che lo sfruttamento in agricoltura è diventato pressoché “fisiologico” nell’intera filiera agro-alimentare, anche di eccellenza.
A sua volta il lavoro domestico, i cui lavoratori sono per il 70% immigrati, nel 2022 ha visto diminuire il numero di occupati, soprattutto stranieri: questi ultimi sono circa 622mila, con un calo dell’8,4%, che in molti casi è indice di uno scivolamento nel lavoro nero, favorito anche dall’assenza di adeguate politiche di welfare e fiscali mirate a incentivare il lavoro regolare. Del resto, anche la programmazione dei flussi d’ingresso di lavori stranieri per il triennio 2023-2025, pur avendo il merito di aver reintrodotto delle quote specifiche per il comparto dell’assistenza, ne ha previsto un numero insufficiente: appena 28mila, almeno 45mila in meno rispetto al fabbisogno stimato da un recente studio di Assindatcolf e IDOS.
6,5 miliardi di contributo netto nelle casse dello Stato
Pur a fronte di questo quadro davvero critico, il contributo degli immigrati all’economia italiana e al suo sistema di protezione sociale continua ad essere positivo. Nel 2021 il saldo tra spese (28,2 miliardi di euro) e introiti (34,7 miliardi di euro) dello Stato imputabili all’immigrazione ha segnato un guadagno per l’erario pubblico di 6,5 miliardi di euro. Un contributo netto fortemente cresciuto rispetto al 2020, di circa un miliardo di euro in più, grazie alla ripresa post-pandemica dei settori in cui gli stranieri sono più impiegati.
Più donne straniere imprenditrici
Nota di merito anche all’imprenditoria migrante: tra il 2011 al 2021, mentre le imprese a direzione italiana sono diminuite del 4,1%, quelle gestite da immigrati sono cresciute del 41,5%. Nel 2022, con ulteriori 5 mila nuove attività aperte nell’anno (+0,8%), le imprese immigrate operanti in Italia si avvicinano a quota 650mila, pari al 10,8% del totale. A crescere sono soprattutto l’imprenditorialità femminile – che rappresenta il 24,6% delle attività a conduzione immigrata – e le società di capitali, più che raddoppiate dal 2011 al 2021, con +65 mila attività, segnando un +149,9%.
Cresce la partecipazione sindacale
Nel contempo gli immigrati mostrano un buon livello di partecipazione sociale e sindacale, con più di 1 milione di tesserati ai sindacati confederali – 8,7% del totale – e un tasso di sindacalizzazione (rapporto tra il numero dei lavoratori dipendenti e quello dei tesserati) più elevato degli italiani, del 44% contro 36,7%.
Un importante canale di affiliazione sindacale è quello dei patronati, che nel 2022 hanno assistito oltre 175 mila stranieri per le pratiche di rilascio o rinnovo dei titoli di soggiorno e hanno gestito quasi 9mila domande di ricongiungimento familiare, circa 15mila pratiche di cittadinanza italiana e oltre 240mila richieste di assegno unico universale (il 21% del totale).
Dalla casa all’istruzione, inserimento sociale limitato
Il rigido modello di segregazione occupazionale illustrato influisce anche sulle condizioni di vita e di inserimento degli immigrati, per lo più emarginati. Nonostante in Italia la quota di residenti stranieri in situazione di povertà e di esclusione sociale sia del 40% (quasi doppia rispetto agli italiani), pari a 2 milioni di persone, a giugno del 2023, solo un decimo di essi (10,7%), cioè meno di 215 mila, fruiva del Reddito di cittadinanza.
Dal 2024 il nuovo Assegno di inclusione – che pur avendo dimezzato il requisito decennale della residenza continuativa, avrebbe potuto estendersi a un 20% aggiuntivo di beneficiari stranieri – contemplando nuovi e più stringenti requisiti, di fatto ridurrà l’attuale platea di beneficiari stranieri del Reddito di cittadinanza a un terzo, ovvero ad appena 73 mila individui, il 3,6% di tutti quelli in condizioni di indigenza e marginalizzazione.
Tutte condizioni economiche che rendono ancora più proibitivo per gli immigrati l’acquisto di una casa, costringendoli a ripiegare in massa su bilocali o al massimo trilocali economici, mediamente di 55 metri quadri, situati nelle periferie dei capoluoghi di provincia o nell’hinterland, alimentando così ghettizzazione e disagio abitativo.
La maggiore diffidenza delle banche a concedere prestiti per le spese iniziali, anche a quel milione di immigrati che pure potrebbero sostenere il pagamento mensile di un mutuo, congiunte – nel caso degli affitti – alle preclusioni dettate da pregiudizi, ai canoni rialzati e alle proposte di locazione in nero da parte dei proprietari, rendono ancora più difficile agli stranieri l’accesso al mercato delle abitazioni. Isolamento sociale e povertà condizionano pesantemente anche i percorsi scolastici dei più giovani.
Accesso limitato alle pensioni
Nel 2022 gli stranieri non comunitari sono stati il 13,6% dei percettori di Cassa integrazione ordinaria (Cigo), il 2,8% della Cassa integrazione straordinaria (Cigs), il 12,9% dell’assegno di integrazione salariale per dipendenti di aziende iscritte ai Fondi di solidarietà, il 15,4% della NASpI e il 21,7% dell’indennità di disoccupazione agricola. Percentuali che calano drasticamente tra i pensionati nel loro complesso, che solo nell’1,1% dei casi sono stranieri non Ue: in particolare, questi ultimi rappresentano lo 0,6% dei beneficiari di trattamenti previdenziali (pensioni di vecchiaia, invalidità e superstite) e il 3,1% di quelli assistenziali (prestazioni a invalidi civili, pensioni e assegni sociali). Viceversa, essendo una popolazione giovane e con figli, gli stranieri non Ue sono il 9,2% dei percettori di indennità di maternità obbligatoria, l’8,2% dell’indennità di congedo parentale, il 13,1% degli assegni al nucleo familiare.
Un dato emergente, e che dovrebbe orientare le scelte politiche del futuro, è che anche in Italia gli stranieri cominciano a invecchiare: tra il 2010 e il 2023 gli over-49 sono raddoppiati – passando dal 12,0% al 23,4% degli stranieri residenti – e, solo tra il 2021 e il 2022, i residenti stranieri 55-64enni sono cresciuti del 3,4%, mentre i 15-54enni sono calati dello 0,3%.
Manodopera migrante, le limitazioni del Decreto Cutro
Gli immigrati sono una risorsa fondamentale per ovviare alla mancanza di manodopera. Nel 2023 il sistema degli ingressi per lavoro, tenuto bloccato da oltre un decennio, è stato parzialmente modificato dal D.l. 20/2023, convertito in L. 50/2023 (il cosiddetto “Decreto Piantedosi 2” o “Decreto Cutro”). Le modifiche non hanno tuttavia cambiato la base normativa, che resta affidata all’emanazione di decreti flussi e, soprattutto, a un incontro irrealistico tra domanda e offerta di lavoro a distanza, di fatto impraticabile.
Secondo la programmazione dei flussi decisa dal governo lo scorso settembre, in tre anni saranno ammessi in Italia complessivamente 452mila lavoratori stranieri: 136mila nel 2023, 151mila nel 2024 e 165mila nel 2025. Ma il provvedimento, varato su forte pressione dei datori di lavoro – in grave carenza di manodopera sin dalla crisi pandemica – “è ancora molto lontano dal coprire l’effettivo fabbisogno di manodopera, stimato dal governo in 833mila lavoratori nello stesso arco di tempo.
L’immigrazione è ormai giunta a uno stadio di radicamento e organicità al tessuto sociale ed economico dell’Italia, ma la strada verso il riconoscimento di pari diritti e opportunità lavorative è tutta in salita, con strumenti ancora inadeguati e politiche decisamente da rivedere.
- Vignetta di @Mauro Biani (2018 per Il Manifesto) data in concessione a Malacoda a titolo gratuito. Soumaila Sacko, 29 anni, bracciante del Mali. È stato ucciso il 2 giugno 2018 con un colpo di fucile alla testa.