
09 Giu Malacoda e “cattiveria”
Alimentare la fiamma delle diversità, alzare voci fuori dal coro, utilizzare suoni e colori dissonanti rappresenta oggi più che mai un dovere e una necessità, per difendere quello che di più prezioso c’è nell’Uomo, per promuovere il Progresso, per coltivare la Speranza, per Costruire il Futuro.
Malacoda certamente parla alla propria comunità, una comunità di persone che, pur nella diversità di storie e di opinioni, si collocano con chiarezza e determinazione dalla parte del Progresso, della difesa dei Diritti, della lotta alle Ingiustizie e del contrasto alle Disuguaglianze.
E tuttavia siamo convinti che la nostra Rivista possa svolgere un ruolo importante più a largo raggio, a tutto tondo, portando un contributo allo sviluppo dell’intera collettività.
Perché la palude, l’immobilità, l’inerzia, l’appiattimento sono portatori di decadenza e di miseria per tutti, anche per le forze più conservatrici della Società, che hanno ontologicamente bisogno del Nuovo per trovare la propria ragione di esistere.
Malacoda si presenta oggi con una nuova veste grafica e con una novità nei contenuti: ogni numero sarà caratterizzato da una parola chiave, che fungerà da fil rouge tra i vari articoli e giocherà da elemento conduttore dei diversi interventi.
Per questo numero la parola che abbiamo scelto è: “Cattiveria”.
Malacoda, come noto, è un diavolo, frutto della fantasia di Dante Alighieri, che compare nell’Inferno della Divina Commedia come capo dei Malebranche, le demoniache creature alate che presidiano la Quinta Bolgia dell’Ottavo Cerchio, dove sono puniti i Barattieri (Canto XXI).
Abbiamo dunque pensato che il lemma fosse particolarmente indicato, per avviare il nuovo corso di una Rivista dall’imprinting infernale.
La parola Cattiveria nasce dal termine latino “captivus”, che significa “prigioniero”.
Nella nostra accezione, il cattivo non è tale per indole o per scelta: il cattivo reagisce, ferisce, si ribella, attacca, polemizza, si impunta, strattona e colpisce perché è prigioniero.
Prigioniero del pensiero unico di questo nostro tempo, una galera invisibile, una coltre impalpabile e pesantissima, che tutto copre, tutto soffoca, tutto spegne.
Preda di un potere che “assume oggi una forma affabile, “smart”, rendendosi invisibile e inattacabile”, ragion per “il soggetto sottomesso non sa nemmeno di esserlo, e anzi crede di essere libero” (Byung-Chul Han, Perché oggi non è possibile una rivoluzione, 2021).
Con Cattiveria, in questo numero, leggiamo la Società, la Cultura e l’Attualità, quali prigionieri reclusi ma combattivi, forse in catene però indomiti.
Malacoda non è una creatura malvagia, “captivus diaboli”, “prigioniero del diavolo”, come si diceva in epoca medievale; piuttosto Malacoda e i Malacodiani sono “diaboli captivi”, poveri diavoli prigionieri, prigionieri del pensiero unico, prigionieri irriducibili e ribelli.
La Cattiveria che qui si esprime è dunque vita, energia, forza, intelligenza, ribellione alla cappa di grigiore con la quale il pensiero unico narcotizza e controlla il Contemporaneo.
Una Cattiveria che in qualche modo rappresenta un inno alla Vita, una testimonianza di fiducia nell’Uomo, una dichiarazione di speranza nel Futuro.
La Cattiveria per proclamare la possibilità di un mondo diverso e migliore, continuare la battaglia, non cedere le armi.
È questo d’altronde l’ineluttabile destino di Malacoda, alato frequentatore degli Inferi: stare, per utilizzare i versi di Mario Luzi, “nel magma, nel fuoco della controversia”.