Un bambino tradito dagli adulti diviene un bambino fragile

Condividi:

di Benedetto Tudino

“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice”.

Vorrei iniziare questa mia riflessione da una leggenda narrata dagli Indios della tribù Tapui, in Amazzonia: “Non si devono picchiare i bambini”. Capita assai di rado che, tra le tribù del Chaco, un bambino venga picchiato dai genitori. Molti, anzi, ritengono che farlo sia un delitto e questa storia ne spiega il perché.

Una sera, al villaggio, c’era una grande festa per tutti i genitori. Molti bambini e bambine erano chiusi al sicuro nelle loro capanne, ma una di loro riuscì a sgattaiolare dalla finestra e, in punta di piedi, si accostò al luogo in cui si teneva la festa. 

Stette a spiare la gente che beveva e ballava allegramente.

C’era anche sua madre, che rideva e dondolava sempre più continuando a tracannare birra di mais.

“Chissà mai perché la mamma dondola così!” – si disse la bambina.

Proprio in quel momento la madre la vide e si arrabbiò con lei: “Perché non sei nella capanna con gli altri bambini?” – urlò.

Poi, incapace di sopportare lo sguardo di rimprovero della figlia, prese a picchiarla, trascinandola a viva forza alla capanna dove i piccoli erano rinchiusi. 

Persuasa di aver risolto il problema, la donna tornò barcollando alla festa, imprecando e borbottando.

La ragazzina rimase a piangere nella capanna e spiegò agli altri bambini quel che era accaduto. Non era mai stata picchiata e si sentiva piena di rancore per l’umiliazione subita.

Mentre la bimba piangeva, all’improvviso, chissà per quale magia, l’uscio serrato della capanna si spalancò e i bambini uscirono tutti all’aperto nel chiar della luna, e qui, tenendosi per la vita, formarono una lunga catena, cantando sottovoce e cominciando a danzare a un ritmo che mai si era sentito prima.

Mentre passavano per il villaggio, altri bambini si unirono a loro, finché ogni casa rimase vuota, perché gli adulti erano tutti alla festa. Uscirono lentamente dal villaggio, gli occhi fissi al cielo, con un passo che si faceva sempre più leggero, finché quelli che erano in testa alla fila presero a sollevarsi lentamente in aria.

Andarono in alto, sempre più in alto e, cantando e danzando, sparirono nel buio e al loro posto comparvero, sulla volta del cielo, stelle lucenti, alcune isolate, altre raccolte assieme come in una famiglia. E i bambini non riapparvero mai più.

I bambini sono spesso traditi dagli adulti e le loro esigenze vitali restano in questo modo disattese. 

Nonostante le nostre più recenti leggi in materia e l’orientamento della pedagogia moderna siano stati in grado di delineare con chiarezza le condizioni necessarie affinché i bambini possano svilupparsi in modo equilibrato, sentendosi competenti e giustificati nella loro esistenza, in realtà il degrado crescente nei rapporti sociali, la frammentarietà dei tessuti relazionali, l’affermazione sorda del diritto del più forte (anche all’interno degli ambienti in cui i bambini si sviluppano: scuola, quartiere, famiglia) hanno fatto sì che proprio le nostre risorse più importanti, i bambini, venissero trascurate ad un punto tale da giustificare l’allarme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. 

Secondo una recente indagine condotta dall’OMS, infatti, il disagio infantile è in costante aumento e si teme che possa accrescersi ancora nei prossimi anni, coinvolgendo quasi il 50% della popolazione giovanile compresa tra gli 0 e i 18 anni di età.

Fame, sfruttamento, abusi, abbandono, incuria, violenza, guerre…

L’enfasi dei media sul problema suggerisce atteggiamenti paternalistici, reclama tutela e protezione, ma non parla mai del riconoscimento concreto dei diritti dei bambini, non propone occasioni di partecipazione attiva e di sviluppo originale basato sulle vere predisposizioni e attitudini di ciascuno di loro.

Il riconoscimento dei diritti dei bambini propone invece di mettere in atto azioni volte a un atteggiamento nuovo nei loro confronti, improntato all’ascolto e al rispetto, alla scoperta delle loro peculiarità, all’attenzione verso i suggerimenti che, con spontaneità, la loro stessa esistenza suggerisce. 

Riconoscere i diritti dei bambini presuppone l’apertura dei nostri orizzonti e delle nostre chiavi di lettura “adulte” alla visione di un mondo bambino.

E di un mondo bambino voglio ora parlarvi, quello di un bimbo descritto sulla carta, ma che potrebbe essere uno qualsiasi dei bambini del mondo.

Sì, voglio parlarvi in particolare del mondo di un bambino “speciale”, quello del Piccolo Principe di Saint-Exupéry.

Un bambino, ricordato e raccontato da un adulto, che, con la sua solitudine nel piccolo pianeta in cui abita, rappresenta, non solo simbolicamente, la ben più grave solitudine relazionale dei bambini di tutto il mondo.

Il Piccolo Principe non si scoraggia né subisce la sua condizione, ma intraprende una analisi instancabile alla ricerca del significato della propria esistenza. Abbandona la sua unica certezza (la sua rosa) per trovare qualcosa di più significativo, qualcosa che si possa ottenere solo con un viaggio, con un percorso di uscita dal modo di pensare di un mondo che non lo accetta. Cerca, nel suo viaggio, di entrare in rapporto con molti adulti, ciascuno detentore di una propria verità incontestabile, ma nessuno disposto ad entrare in relazione con lui. 

Infine incontra una volpe, diversa da lui per antonomasia, ma vicina a lui emozionalmente.

La volpe è il solo essere che guida il Piccolo Principe nella scoperta dei sentimenti e dei legami che si creano nelle relazioni significative, che gli fornisce un’identità, grazie al profondo rapporto che si è creato fra loro.

Un rapporto ed un legame che gli garantiscono che la separazione non potrà spezzare mai il vincolo di affetto e vicinanza che li lega (l’addomesticamento, come viene definito nel testo). La volpe è l’unica ad intervenire davvero sulla sua fragilità che trova le sue radici nel sentirsi solo ed incompreso in un mondo adulto e indifferente.

Quella volpe suggerisce ad un bambino fragile di non avere un atteggiamento succube e impotente nei confronti delle difficoltà della vita, di non lasciarsi abbattere dalla mancanza di attenzioni del mondo degli adulti, ma di ricercare ogni via per affermare ancora di più la propria identità.

Solo in questo modo il Piccolo Principe potrà avviare un percorso di costruzione della propria autostima in grado di porlo in condizione di sottrarsi a relazioni violente e abusanti per ricercare rapporti significativi ed appaganti. In poche parole, il racconto del rapporto speciale che si è instaurato tra la volpe e il bambino insegna che è giusto ricercare, in ogni mondo possibile, condizioni di agio e sicurezza di cui ogni bambino, sia pure fragile, ne ha pieno diritto e titolarità. 

La storia del Piccolo Principe è un monito per ogni adulto che, diventato grande, si è dimenticato di essere stato anche lui un bambino, di aver provato quello stesso senso di abbandono e di incomprensione da parte dei grandi, di cui si parla in quelle pagine.

Anche una storia, un’apparente piccola storia come quella narrata da Saint-Exupéry, può aiutare a capire quanto tutti noi adulti abbiamo bisogno di porci in ascolto dei bambini non perché sembrino quello che noi non siamo riusciti ad essere, ma perché ci dicano ciò che vogliono essere e diventare una volta cresciuti, per comprendere il loro mondo ed entrare in relazioni significative con loro.

Solo così essi potranno esprimersi liberamente e intraprendere il percorso di consapevolezza che li condurrà ad essere ciò che, una volta cresciuti, vorranno diventare.

In una storia come il Piccolo Principe ognuno può vederci ciò che più gli sta a cuore di riscoprire.

Ma sopra ad ogni cosa, l’aspetto che maggiormente emerge è l’amore per gli altri (fosse anche un fiore) che si manifesta con piccoli gesti e si esprime attraverso parole così semplici (quelle di uno strano bambino) da risultare disarmanti. 

Uno strano bambino per cui contano l’importanza dei legami e il valore della comunicazione perché, come a lui dice la volpe: “Essere amici non è facile affatto. Essere amici significa prendersi cura dell’altro”. 

“Nessuno ci appartiene veramente. Prima o poi anche l’amico più sincero se ne va, a volte non per suo desiderio. E quando questo accade, dobbiamo essere pronti a lasciarlo andare”.

Tutto questo non è facile. 

Come afferma Antoine de Saint-Exupéry: “Si arrischia di piangere un poco se ci si è lasciati addomesticare”. 

È così quando si crea un legame: è tanto bello prendersi cura dell’altro, quanto difficile lasciarlo andare. Ma è necessario imparare a farlo, perché ciascuno di noi ha diritto a seguire la propria strada. 

Del resto, ogni legame che si crea non verrà mai distrutto davvero se l’amicizia era sincera, se ci si era lasciati addomesticare. 

Ciò che si è dato rimarrà sempre nel cuore di chi l’ha ricevuto. 

Un bambino cresciuto con legami affettivi sinceri e significativi sarà in grado di partire alla ricerca della strada che farà di lui un adulto consapevole delle proprie scelte.

Sarà difficile e a volte dolorosa la sua partenza, ma in lui e in noi resterà la certezza di aver basato la relazione sul riconoscimento reciproco della dignità della persona. 

Vedendolo partire per la sua strada, potrà accadere che ci si senta anche un po’ come se ci mancasse qualcosa. Quel qualcosa che si è dato e che si spera non verrà dimenticato, perché l’essenziale è invisibile agli occhi.


Condividi: