Cattiva Informazione

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di Lorenzo Scheggi Merlini

La cattiveria nel giornalismo?  Ci sono gli editoriali di Marco Travaglio, prolifico inventore di neologismi (es: la Schiforma Cartabia, mirabile crasi fra riforma e schifo in materia giudiziaria, un vero gioiello, onore al merito) che ogni giorno grondano più che ironia, sarcasmo, disprezzo, graffianti e urticanti per quanto lo possano essere le parole. Perfetta trasposizione letteraria di quel sorrisetto sardonico che rimanda alla dentatura dello Stregatto del Chesire, personaggio chiave di Alice nel paese delle meraviglie.         Per sovrapprezzo, in prima pagina, ogni giorno, Il Fatto Quotidiano pubblica una rubrica intitolata appunto “La cattiveria”, anche se in realtà è solo una divertente antologia di corsivetti allegri, buoni da sgranocchiare con caffè e cornetto. Ma che dire di Vittorio Feltri su Libero? Anche lui non scherza, non perde mai un’occasione per essere irriverente, irriguardoso, spesso perfino volgare. Senza dimenticare infine, in questo girone, Maurizio Belpietro, uno che su La Verità adora manganellare gli avversari con la cattiveria che già traspare dal ghigno che madre natura gli ha stampato sulle labbra.

Ce la mettono tutta ma, per quanto possano impegnarsi, raramente riescono a toccare vette di cattiveria che siano anche lampi di intelligenza. Essere volgari risulta spesso più facile. Manipolare la realtà, inventarsi falsi bersagli per potergli sparare più comodamente, una pratica diffusa. Chi purtroppo, come chi scrive, ha memoria dei corsivi di Fortebraccio su l’Unità di tanti secoli (politici) fa, può solo sorridere con sufficienza: quello sì, amici miei, era un vero distillato di (intelligente) cattiveria! 

Verrebbe da dire che anche la cattiveria non è più quella di una volta.

Già, ma cosa si intende davvero col termine cattiveria? Secondo regole antiche si comincia dal dizionario: “Cattiveria, sostantivo femminile; attitudine a offendere, a fare del male; innata disposizione a fare del male, a recar danno al prossimo nelle sue cose o nelle sue aspirazioni”. Sinonimi: “malvagità, indegnità, malizia, spietatezza, crudeltà, perfidia, diavoleria, scelleratezza, perversità”, ma anche, molto più bonariamente,” canagliata, carognata, mascalzonata, malefatta, malignità”. Negli scritti dei nostri eroi si tratta evidentemente di mascalzonate, carognate se volete, malignità. Non scomoderei dunque categorie come malvagità, crudeltà, diavolerie.

Facciamo qualche esempio da manuale. Proprio La Verità di Belpietro, ad esempio, qualche mese fa – ma merita la citazione – domenica 15 gennaio aveva intinto nell’aceto la penna di Francesco Borgonovo, inveterato polemista della testata, che si era divertito nell’ironizzare sui “compagni” di Bologna che per festeggiare l’elezione del nuovo segretario della locale Cgil avevano mandando nell’aere congressuale, senza risparmiare sui decibel, l’inno della vecchia Unione Sovietica (!!!) a dannazione del neoeletto Michele Bulgarelli, subito ribattezzato Bulgarellov. “È stato un errore” si sono giustificati, peggiorando se possibile le conseguenze del moto freudiano che aveva armato la mano dello sventurato dj, “volevamo mettere l’Internazionale!” hanno confessato. Perfino troppo buona allora, La Verità a titolare: “Processano il Msi, poi rimpiangono l’Urss”. E che dire di Libero, organo semiufficiale del Governo cui il nuovo essere dentro il cuore di Giorgia costringe a contenere il linguaggio? Sallusti, l’ex caustico Sallusti se la cava con un banale: ”Sempre i soliti. La sinistra non riesce a tagliare i ponti con il comunismo”. È forse cattiveria continuare a cercare il comunismo che ormai nemmeno dagli antiquari di Mosca?  

Tutt’altra storia quando dalla vecchia informazione, intesa come testate, di carta, televisive o nel web, qui poco importa, con tanto di direttori che ci mettono la faccia e la fedina penale e giornalisti che ci mettono la firma e la loro professionalità, si passa ai social media.

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