La fragilità dell’eterna bellezza non è un ossimoro

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di Giulia Silvia Ghia

Senza cultura e la relativa libertà che ne deriva, 

la società, anche se fosse perfetta, sarebbe una giungla. 

Ecco perché ogni autentica creazione è in realtà un regalo per il futuro.

ALBERT CAMUS

Si dice della bellezza che salverà il mondo. Ma se non riuscissimo più a riconoscerla? Se non avesse più significato per alcuno la bellezza delle opere d’arte, dei monumenti, dei paesaggi, della cultura. Da dove viene questo immenso patrimonio culturale che abbiamo ereditato? Ne potremmo mai fare a meno? Si può fare a meno della cultura? E che cos’è la cultura? 

Inizio dalla fine, definendo la cultura l’insieme di attività, conoscenze, valori, norme, tradizioni tra cui l’arte, la religione, la musica, la cucina (etc.) che definiscono l’identità di un popolo.

No, non è possibile vivere senza cultura, perché senza di essa non avremmo libertà di scelta, non svilupperemmo alcun senso critico e la società sarebbe preda del primo avventore di turno proprio perché, quando diffusamente la qualità e la cultura scarseggiano, anche chi non ha particolari titoli o meriti può sembrare un “gigante”, uno che vale molto.

E no, non potremmo vivere senza il nostro patrimonio culturale perché viene dal nostro passato e ci racconta della storia dell’umanità. Ci ricorda da dove veniamo. Ci racconta che in ogni tempo ci sono stati committenti e mecenati che hanno contribuito a generare ciò che noi abbiamo ereditato. 

Lo sapeva bene Lorenzo il Magnifico che ha fatto di Firenze la sede del Rinascimento, soprattutto del rinascimento della sua famiglia passata alla storia anche per la quantità di opere d’arte realizzate in quel tempo. Realizzare, costruire per manifestare l’ingegno e la propria grandezza, un concetto che Lorenzo imparò dai testi antichi recuperati in quegli anni e che deriva dal tempo dei romani, costruttori di bellezza nel mondo da loro conquistato.

Lo comprese a tal punto che Lorenzo inviò la migliore personalità artistica presente a Firenze, Leonardo da Vinci, alla corte di Ludovico il Moro, in forte ascesa, per sancire una sorta di patto di non belligeranza tra le due Signorie. Leonardo era non solo un rinomato artista, ma anche un genio poliedrico con abilità in molteplici campi come pittura, ingegneria e scienza. Lorenzo sperava che Leonardo potesse contribuire al progresso artistico, culturale e tecnologico della città di Milano, aiutando a consolidare il prestigio della corte milanese e a promuovere il suo stesso potere ed influenza. D’altronde la corte di Milano, grazie all’ambizione del Moro e alla presenza in città di tre regine del gusto la cui fama correva tra le corti europee – Isabella d’Aragona, Beatrice d’Este e Isabella Gonzaga, stava divenendo una delle più ricche e fervide d’Italia, tale da poter gareggiare con Firenze.


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